Non è raro che di fronte a vicende complesse e dai forti effetti sulla vita di ognuno, la valutazione delle persone siano contrastanti e si polarizzino in due categorie opposte: quella dei pessimisti e quella degli ottimisti.
Che si tratti della crisi economica o del futuro del pianeta, dell'immigrazione o della cura di malattie gravi, gli scenari che si descrivono sono sovente diametralmente opposti. Anche nelle vicende private, soprattutto quando sono in gioco situazioni personali difficili, le persone sembrano suddividersi tra ottimisti, per i quali tutto andrà bene, e pessimisti, per i quali non c'è altro che aspettare il peggio.
Queste valutazioni comportano non solo giudizi astratti, ma anche scelte e decisioni importanti che sono diametralmente opposte a seconda del prevalere di una visione o dell'altra. Per questo motivo, il pessimismo e l'ottimismo non sono un argomento di secondario interesse per la psicologia.
Essi meritano di essere studiati non solo per comprenderne meglio i meccanismi sottostanti, ma soprattutto per capire la loro maggiore o minore capacità di influenzare le nostre vite.
Se guardiamo a come sono descritti comunemente ottimisti e pessimisti, constatiamo che i primi sono accusati sovente di essere dei superficiali, incapaci di una lettura critica e profonda della realtà, sia per mancanza di strumenti cognitivi di analisi, sia per difesa emotiva, vale a dire per incapacità di sopportare il confronto con realtà sgradevoli e ansiogene. Soggettivamente, essi si descrivono invece come persone positive, che non si abbattono mai di fronte a nessun ostacolo e conservano sempre la fiducia nelle proprie capacità di farvi fronte.
I pessimisti, dal canto loro, sono accusati perlopiù di essere dei menagramo che deprimono l'umore, la speranza e l'apertura verso il futuro, favorendo l'inattività e finendo per realizzare le loro profezie di sventura. Essi, al contrario, si descrivono come persone più informate e colte, capaci di analizzare la realtà in modo più complesso e approfondito e di agire di conseguenza. Il pessimismo si presenta come un atteggiamento più intelligente dell'ottimismo e la sua maggiore diffusione presso gli intellettuali sembrerebbe confermare il fatto che esso permette di guardare la realtà in modo più lucido e illuminato.
Sul piano psicologico, però, questa contrapposizione è fasulla e inutile, non aiuta a comprendere quale sia l'atteggiamento più adatto ad affrontare le situazioni specifiche. È indubbio, infatti, che l'ottimismo sconfina spesso e facilmente in una valutazione illusoria e falsa della realtà, che risponde soprattutto all'esigenza di proteggere se stessi dal confronto con ciò che appare incomprensibile e spaventoso. Il proprio desiderio si sovrappone allora alla realtà e prevalgono frasi fatte e la ripetizione che “andrà tutto bene”, senza che queste analisi siano sostanziate da un'analisi attenta del perché e a quali condizioni questa attesa positiva potrà realizzarsi. Da parte sua, il pessimismo è spesso la ripetizione di principi già noti, di relazioni di causa effetto già sperimentate, che vengono tragicamente attese come l'eterno ritorno di situazioni problematiche occorse in passato.
Tra ottimismo e pessimismo, allora sarebbe preferibile una terza strada che possiamo definire realismo e che poggia le sue basi sulle capacità di analisi e di sintesi nei riguardi dei vari fattori che caratterizzano le situazioni specifiche. Essere realisti significa impegnarsi in ogni valutazione rinunciando a illusioni e pregiudizi, significa leggere la realtà, oggettiva e soggettiva, riferendosi alla conoscenza dei fatti e alla propria competenza in materia.